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Introduzione

Adriano Fabris

 

Questa Guida alle etiche della comunicazione vuol essere il primo contributo complessivo in lingua italiana sull’argomento. Il libro si presenta come una ricerca articolata, concernente quei diversi ambiti della comunicazione nei quali può manifestarsi un’istanza etica. Esso è pensato, dunque, per venire incontro a un interesse sempre più urgente, anche nel nostro paese, per le questioni di etica della comunicazione: sia per quelle che riguardano gli operatori del settore, sia per quelle che coinvolgono i semplici fruitori dei mezzi di comunicazione. Infatti, se è ben vero che negli ultimi anni si sono moltiplicate le riflessioni sull’etica e sulla deontologia professionale, soprattutto nei settori della carta stampata e dei media audiovisivi, e appunto in relazione a ciò sono stati promossi opportuni strumenti di controllo, come ad esempio il Comitato su TV e minori, è altresì vero che non è stata finora fornita una panoramica generale, riguardante i vari settori d’interesse comunicativo, dei problemi di condotta e delle soluzioni di cui, nell’ambito dei diversi media, si è fatta sinora esperienza.

Compiere un primo, significativo passo in tale direzione è appunto il compito di questo volume. Come viene detto dal titolo, esso intende offrire un orientamento preliminare concernente le etiche elaborate nei vari contesti comunicativi. Il plurale "etiche" si riferisce dunque ai molteplici campi di applicazione, non già alla pluralità dei principî morali che, a tale riguardo, possono essere assunti. E infatti il libro offrirà, nei suoi otto capitoli, specifici approfondimenti non solo sull’etica del giornalismo, sull’etica della televisione, sull’etica di internet, sull’etica dei linguaggi pubblicitari, ma anche sull’etica della comunicazione pubblica, sull’etica della comunicazione biomedica, sull’etica della comunicazione interculturale e, da ultimo, sulla comunicazione della responsabilità sociale d’impresa.

Come si vede, l’impostazione che è stata scelta ha voluto privilegiare i mezzi di comunicazione che oggi, per il loro uso e la loro enorme diffusione, maggiormente sollecitano una ricerca morale. Appunto perciò non vi sono capitoli espressamente dedicati ai problemi etici insiti nella narrazione e nella trasmissione orale, o all’"etica del dialogo", così come non è stata delineata e discussa, qui, un’"etica della scrittura" in quanto tale. In compenso, però, si è inteso dare spazio a quelle dimensioni, pubbliche e private, del comportamento umano nelle quali gli aspetti comunicativi hanno negli ultimi tempi acquisito uno spazio sempre maggiore. Si tratta di ambiti in cui la gestione stessa della comunicazione richiede di essere motivata da principî etici chiaramente definibili, effettivamente applicabili e soggetti a un riconoscimento intersoggettivo: come accade appunto nel caso della comunicazione pubblica, della comunicazione biomedica, della comunicazione interculturale. Ciò che a noi interessa, insomma, è mettere in luce la portata etica, le implicazioni morali della comunicazione, individuando le condizioni che possono consentire lo sviluppo di comportamenti condivisi. Tale scopo, d’altronde, può in parte essere realizzato anche facendo uso di strumenti oggettivi di rilevazione. Ecco perché questo volume si conclude con un capitolo che illustra, fra l’altro, alcune procedure di certificazione etica.

Come già qui emerge, allora, il libro ha anche un’ulteriore ambizione: quella di non rappresentare semplicemente un’occasione di approfondimento teorico riguardo a tali argomenti, ma di fornire anche una serie di indicazioni pratiche, concrete, riguardo a una gestione eticamente giustificata degli atti di comunicazione. A questo fine in tutti i suoi capitoli viene fatto esplicito riferimento alla deontologia professionale degli operatori della comunicazione e ai diversi codici che, dalle varie categorie di questi operatori, sono stati elaborati. Oltre a ciò, per farne uno strumento d’immediata impiegabilità, il testo non solo è corredato da un’ampia Bibliografia generale, con rimandi anche ai siti di maggior interesse sull’argomento, ma ad esso è allegato un CD-ROM contenente i documenti e i codici deontologici dei quali si è trattato nei diversi capitoli. Essi riguardano per lo più l’ambito italiano, anche se sono presenti numerosi riferimenti a livello internazionale.

Gli autori di questo libro fanno parte di un gruppo di ricerca sull’etica della comunicazione attivo da tempo presso l’Università di Pisa. Essi a diverso titolo, nella loro professione e nelle loro ricerche, si sono imbattuti in questa problematica e ne hanno tratto stimolo per una riflessione approfondita, che vede pubblicati qui i suoi risultati. I contributi di ciascuno, comunque, sono stati confrontati con quelli di tutti gli altri, in un lungo lavoro di tipo seminariale che ha condotto a sviluppare una profonda consonanza sia per quanto riguarda l’impostazione metodologica, sia per quel che concerne alcune questioni di contenuto.

È infatti convinzione comune degli autori, ad esempio, che ai problemi di etica della comunicazione, nei differenti ambiti in cui essi sono in grado di insorgere, i codici e la deontologia professionale non possono dare una soluzione definitiva. Ciò accade sia perché, fin troppo spesso, l’applicazione di questi codici risulta difficile e farraginosa, e le sanzioni comminate, posto che lo siano davvero, non costituiscono per lo più un valido deterrente per i comportamenti scorretti, sia perché, più in generale, non è possibile dare una risposta formulata, nella sostanza, in termini anche giuridici a questioni che risultano di carattere prettamente etico. Ed ecco il motivo per cui, come oggi possiamo comprendere in maniera sempre più chiara, bisogna elaborare principî giustificati e condivisi per i vari comportamenti comunicativi.

Quali sono questi principî, in concreto, emergerà dalle indagini condotte in questo libro. In che modo, invece, essi possano essere giustificati e assunti, non è domanda a cui un’etica della comunicazione, intesa come disciplina appartenente all’ambito delle etiche applicate, può dare definitiva risposta. L’etica della comunicazione si colloca infatti a un secondo livello, cioè su di un piano ulteriore, rispetto a quello che è proprio della deontologia professionale. Ma se si deve giustificare la scelta tra i vari fondamentali modelli etici, sulla cui base ogni comportamento morale, incluso quello dell’agire comunicativo, può essere effettivamente regolamentato, allora bisogna muoversi nell’ambito dell’etica generale. È infatti solo su questo piano più vasto che può essere trovata una risposta alla domanda sulla fondatezza dei principî morali ai quali far riferimento anche nelle pratiche comunicative.

Sono quattro, in special modo, i modelli di etica della comunicazione fin qui elaborati, come mostra anche un’abbondante letteratura sull’argomento. Sono, nell’ordine: quello che fa riferimento a una specifica "natura" comunicativa dell’uomo, al fine di giustificare la correttezza o meno di certe sue forme d’interazione linguistica; quello che, per lo stesso scopo, elabora un’etica della comunicazione a partire dal "principio dialogico", a cui ogni uomo dovrebbe fare riferimento; quello che, per la scelta di specifiche strategie comunicative, fa leva sulla considerazione dell’audience e del contesto in cui si muovono i vari interlocutori; e infine quello che si ricollega ai principî di un utilitarismo concepito in vario modo. Non è questa, ripeto, la sede per verificare la legittimità di questo o quell’approccio di fondo: in quanto ciascun modello non è altro che un’applicazione all’ambito comunicativo di teorie etiche generali che richiedono di essere giustificate e argomentate a un livello ulteriore. E dunque una loro trattazione sul piano dell’etica della comunicazione, come etica applicata, rischia di essere – come sovente accade in molti manuali sull’argomento, specialmente di area anglo-americana – solo una carrellata rapsodica di teorie fra loro intercambiabili.

Tuttavia, proprio nell’ambito dell’etica della comunicazione, è stata di recente elaborata un’altra teoria che rovescia, per dir così, questo rapporto di subordinazione dell’etica applicata rispetto all’etica generale. Essa muove dall’intuizione decisiva di due filosofi tedeschi contemporanei – Karl-Otto Apel e Jürgen Habermas –, i quali tuttavia la sviluppano in maniere e con scopi anche sensibilmente diversi. La tesi di fondo che li accomuna, comunque, è che la comunicazione stessa dischiude già, in quanto tale, una dimensione implicitamente etica. Per il suo esercizio, infatti, essa richiede e mette in opera, concretamente, criteri di rispetto degli interlocutori, di solidarietà nei loro confronti e di corresponsabilità per il buon esito dell’interazione comunicativa, che trovano una giustificazione immediata nell’esercizio della comunicazione stessa. Il che significa che, accanto a un’elaborazione di carattere deontologico, accanto a un’etica della comunicazione propriamente detta, sembra esservi anche spazio per un’etica, potremmo dire, nella comunicazione: posta in atto, cioè, con questo fondamentale tipo d’interazione. Giacché, appunto, è possibile rintracciare elementi etici già nelle condizioni stesse, generali, che sono proprie del comunicare.

Ora, a prescindere dalle conseguenze, a volte anche alquanto discutibili, che da questo assunto possono essere derivate, chi scrive ritiene che lavorare sull’idea di una costitutiva possibilità etica insita nel comunicare – non già, come ad esempio ritiene Apel, sulla datità di certi principî in sé capaci di obbligazione – possa contribuire all’individuazione di un orizzonte morale, adeguatamente fondato, non solo per l’eventuale rispetto dei codici, ma più generalmente per i diversi comportamenti comunicativi che l’uomo è in grado di adottare. In altre parole, la consapevolezza che il comunicare richiede e mette in opera, strutturalmente, atteggiamenti che la filosofia riconosce come morali, può fornire a un soggetto attivo nei vari ambiti della comunicazione una motivazione adeguata per compiere scelte morali conformi a tale possibilità costitutiva del comunicare.

D’altronde, una conferma di questa possibilità etica si può ricavare analizzando lo stesso termine di ‘comunicazione’, per come ricorre nelle varie lingue europee. Esso, infatti, deriva dal latino ‘communicatio’ e indica propriamente il "mettere a parte", il "far partecipe" altri di ciò che si possiede. È operante in questa nozione una particolare metafora, quella della "partecipazione", che non a caso si ripropone nella lingua tedesca (dove il vocabolo ‘Mitteilung’ può venire tradotto, letteralmente, più che con "comunicazione", come avviene di solito, con "compartecipazione"). ‘Communico’, insomma, significa originariamente "mettere in comune", "creare uno spazio comune": in un evidente collegamento fra questo verbo, il sostantivo communio e l’aggettivo communis.

Di tutto ciò, purtroppo, non sembra tener conto l’attuale ricerca sul linguaggio e sulla comunicazione, dominata dallo schema, tendenzialmente meccanico, della trasmissione di un messaggio o di un’informazione da un’emittente a un ricevente. Si tratta di uno schema nel quale è implicito a sua volta un particolare modello di comportamento: quello che risulta valido ed adeguato a seconda della riuscita di questa trasmissione, a seconda cioè che la comunicazione raggiunga in maniera efficace il suo "bersaglio" (target). Rispetto a tale modello, pur oggi così diffuso, un’etica della comunicazione dev’essere in grado di delineare altri scenari possibili, sia per quanto riguarda i comportamenti comunicativi, sia per quel che concerne la loro giustificazione.

Appunto su questa via si muove il nostro libro. Ed ecco la sua ultima pretesa, dopo quelle già menzionate: la pretesa di far riflettere sulle motivazioni, ormai consolidate, che sono alla base delle diverse pratiche comunicative, al fine di contribuire a rimetterle in discussione e ad aprire nuovi orizzonti per un agire comunicativo responsabile. Consapevoli che solo in tal modo possono essere compiute scelte adeguate, sia da parte degli operatori che da parte dei semplici fruitori dei vari media, all’interno di un mondo oggi come non mai attraversato dai processi della comunicazione.