Discutiamo ogni giorno sulle molteplici relazioni, palesi o mascherate, tra la giustizia, la forza e l'utilità di chi governa o detiene un potere. Nella storia della filosofia, la tesi più radicale a questo proposito è quella che Platone attribuisce al sofista Trasimaco: "la giustizia è l'utile del più forte".
I pensatori considerati in questo libro (tra cui Machiavelli, Hobbes, Rousseau, Montesquieu, Marx, Nietzsche, Gramsci, Weber, Habermas, Rawls, Rorty) sono d'accordo sul fatto che la tesi di Trasimaco dica qualcosa di inquietante e di vero riguardo alla storia (all’essere), ma non concordano sui criteri di giustizia alternativi (modi del dover essere), né sulle forme di governo o sulle istituzioni che potrebbero smentire, "nella storia", il sofista. Ma è possibile confutare Trasimaco "senza uscire dalla storia"?
Il libro propone una rilettura della filosofia politica nella prospettiva dischiusa da questa domanda, e suggerisce che la tesi di Trasimaco è costruita in modo tale che il politico, per cautelarsi da ciò che essa prevede, deve mantenerla, come reagente demistificante per ogni pretesa assolutizzazione di posizioni parziali. Il libro allude inoltre a due cautele teoretiche per non “uscire dalla storia”: non dimenticare la duplicità dell’uomo, né i molteplici condizionamenti sottesi alle condotte di vita – siano essi condizionamenti consapevoli o inconsapevoli, “razionali” o “irrazionali” in un senso da precisare di volta in volta.