Il mito del Paese di Cuccagna risulta fra i temi iconografici più diffusi nella stampa a larga diffusione.
Il sogno realizzato di un luogo immaginario dove sia proibito lavorare, l’ozio tradizionalmente considerato un vizio si trasformi in virtù, tutto sia consentito all’insegna della più ampia libertà, la terra elargisca i suoi frutti in abbondanza, è motivo ricorrente e diffuso nel tempo.
Fonti letterarie già a partire dal XIII secolo narrano di un simile paese ideale e dal XVI secolo fiorisce una produzione a stampa che spesso assume caratteristiche autonome rispetto al linguaggio testuale. Immagini che descrivono paesaggi aperti dove nei fiumi scorre il vino, dal cielo piovono capponi arrosto, gli asini si legano con salsicce, chi lavora è condotto in prigione e i medici sono banditi, addirittura una Cuccagna dedicata alle donne, dove gli uomini sono unicamente servitori.
Questo vagheggiato mondo, a tratti eversivo, si svuota gradualmente di questo significato poiché la morale corrente mal sopporta che l’abbondanza ed il piacere non siano frutto del lavoro. Nell’Ottocento, il Paese di Cuccagna diventa così un espediente narrativo soprattutto adestinato all’infanzia, che mostra come chi non si adegui ad un disciplinato comportamento guidato da regole e norme in cui dovere e lavoro risultino principi fondanti, sarà destinato ad una brutta fine, come Lucignolo nel Paese dei Balocchi.