La teologia ermeneutica di Gerhard Ebeling

Gerhard Ebeling (1912-2001) può essere annoverato tra i massimi esponenti della teologia ermeneutica della seconda metà del Novecento. Allievo di Bultmann, maestro della demitizzazione, il suo nome è indissolubilmente legato ad una nuova stagione nello studio del pensiero di Lutero, avviata sin dalla sua dissertazione dottorale zurighese. Il pensiero del Riformatore non è inteso da Ebeling in un’ottica aridamente filologica ma viene sondato in profondità, alla luce delle sfide che l’annuncio del Vangelo fronteggia nella temperie della modernità secolarizzata. Nel recupero dell’antropologia di Lutero – l’uomo è definito dall’evento della giustificazione dell’empio in Cristo ad opera di un Dio misericordioso – si può identificare il suo lascito sistematico alla teologia contemporanea. Vi è qui l’embrione di un’ontologia relazionale della giustificazione, che può essere la base di una critica di quelle visioni che da Aristotele al ‘900 affermano il primato della prassi sulla grazia e negano la radicale dipendenza dell’uomo da Dio. Vi è qui una critica alla metafisica del soggetto, parallela a quella di Heidegger, ma formulata a partire da un orizzonte biblico-cristologico; un diverso esito, teo-cristocentrico, della modernità, che non rinnega alcuni elementi decisivi dell’eredità del moderno.