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A partire da un confronto con l’estetica, la riflessione politica e la filosofia del Novecento – da Wölfflin a Worringer, da Benjamin e Schmitt a Canetti e Foucault, da Bergson e Merleau-Ponty a Simondon e Deleuze – si tenta una prima approssimazione teoretica al concetto di informale e se ne verifica la tenuta nei campi dell’arte e della politica.
Esiste, infatti, un’affinità fondamentale tra opera d’arte e atto politico. Ma essa può venire intesa in modi addirittura opposti: come affinità nella costruzione di un tutto ben organizzato (la bella rappresentazione, il buon ordinamento statuale), oppure nell’affermazione di molteplicità non organiche.
L’informale (che solo dal punto di vista di una filosofia e di una politica della forma si ha interesse a non distinguere dall’informe) presenta una concettualità rigorosa e autonoma rispetto a quella della forma organica: mentre questa si definisce in base al principio di rappresentazione, la cui logica consiste nell’esibizione di un luogo privilegiato a partire dal quale il molteplice viene ordinato, l’insieme informale si definisce come molteplicità aperta e continua, come luogo comune di relazioni qualunque.