Non so cosa Lucien Israël potrebbe dire oggi dei calchi, dei calcatori o dei ricalcanti di Lacan, insomma del lacanismo nostrano, già molto avanti – anzi ormai all’approdo delle dispute da basso impero bizantino – rispetto al tempo di Israël, sulla via della sistematizzazione, della liofilizzazione e quindi della totale psicologizzazione della scintillante meteora lacaniana. Al momento, so solo quello che Lacan ha detto della canaglieria e che Charles Melman infila con un’elegante nuance velenosa, di sfuggita: «C’è, in Lacan, una definizione della canaglieria, che si distingue dal lacanismo». D’altronde, Lacan stesso, a proposito delle obiezioni alla difficoltà del suo testo, rassicurava ironicamente e profeticamente che, dieci anni dopo la sua morte, sarebbe apparso assolutamente comprensibile, facile, accessibile a tutti profezia puntualmente realizzatasi. Specie oggi, con la trasparenza mediatica, con i blog, con i siti, col chiacchiericcio televisivo, con la traduzione sociologica dei concetti psicanalitici alla portata di tutti mediante editoriali sui giornali dell’establishment progressista sui più svariati temi di attualità, sempre rigorosamente orientati al bene, cioè sia al mercato (il luogo per definizione dei beni, in particolare dei beni psi-) sia all’edificazione del colto e dell’inclita.
Lucien Israël nasce a Boulay-Moselle nel 1925. Professore di psichiatria, psicanalista, caporeparto dell’ospedale di Strasburgo, dal 1954 pratica la psicanalisi, ne fa entrare il contributo nella preparazione degli studenti di medicina, soprattutto attraverso i suoi seminari nell’anfiteatro della Facoltà a Strasburgo, seminari ai quali, oltre a quelli di medicina, affluivano studenti anche da filosofia, psicologia e, più in generale, un pubblico interessato alla psicanalisi. Allievo di Jacques Lacan e membro dell’École Freudienne di Parigi fino alla sua dissoluzione (1980), dotato di uno stile incomparabile in cui il rigore si accompagna all’assoluta libertà da ogni scolasticismo, trasmette la novità del lavoro di Freud e di Lacan con una freschezza sempre rinnovata, tale che si ha sempre l’impressione della «prima volta».