Questo è il libro delle differenze: ogni canto della Commedia è diverso dagli altri per le rime, e per come le rime sono messe. Per come le rime lo muovono vivificandolo. Le parole scritte da Dante sono un tesoro chiuso di termini, moltiplicato all’infinito dai significati e dalle interpretazioni, mentre le rime sono i denominatori comuni di un rimario. In quanto tale il rimario è delimitato (comunque è il più largo della poesia italiana). Ma ogni canto del poema è diverso dagli altri novantanove. Ha senso modellizzare la Commedia? Un modello è uno strumento preliminare in ogni esame di tipo scientifico. Un modello può anche visualizzare un progetto. Ebbene i modelli dei cento canti sono cento. Virgilio scrive (insegna, dice Dante) che cento sono le porte dell’antro della Sibilla: cento porte, cento aperture (Virgilio, Aen. 6, 43).
In questo libro si vedono le sonorità delle rime della Commedia. Una stringa con i colori delle cinque vocali costruisce la treccia delle rime. Ogni canto ha una treccia nuova. Sua. La sua scala cromatica e musicale. All’inizio del suo viaggio tra i morti Dante è sconvolto dalle diverse lingue, orribili favelle (Inf. 3, 25). Davanti a quei suoni, che non ritrascrive, egli prova un tipo particolare di orrore, come lo chiama anche Giobbe, il sempiternus horror inabitans (Iob 10, 22). L’orrore eterno che abita la terra dove c’è l’ombra della morte. Sulla pagina abitata dalle terzine, bellissime trecce dànno ordine trinitario all’orrore e allo splendore.