Primo Levi è un classico e la sua opera ha un posto nel panorama della letteratura mondiale. Essa ha investito un tempo e un luogo riassunti nel nome di Auschwitz e cruciali nella definizione di un’epoca. Il rilievo di tale opera, consapevole di un umanesimo lacerato ma indispensabile, viene tuttavia dal modo con cui la parola di Levi è sorta da Auschwitz e ha poi elaborato ciò che ne è seguito, da molteplici punti di vista. L’esperienza di Levi ha così trovato forma in una parola prismatica e, suggerisce Nunzio La Fauci aprendo questo libro, è divenuta un prisma atto a scomporre ogni discorso sull’uomo e a verificarne il valore, come in un esperimento.
In quattro capitoli densi e metodologicamente innovativi, la parola di Primo Levi è qui fatta oggetto di un’attenzione amorevole e rigorosa. Anna Baldini riferisce dell’ironico rapporto che egli intrattenne con se medesimo come scrittore. Nunzio La Fauci dice dello spirito schiettamente sperimentale con cui, alla prova della fame, gli si prospettò il Lager. Liana Tronci porta alla luce il modo franto e allo stesso tempo regolare con cui egli mise al presente il resoconto della sua esperienza. Nunzio La Fauci e Liana Tronci esplorano, per concludere, le multiformi fattispecie sotto le quali in quel resoconto gli venne fatto di scrivere “io” e, in modo più complesso, “noi”.
Un libro per chi, leggendo Primo Levi (o rileggendolo), aspira a penetrare in un’espressione forse più articolata e profonda di quanto si sia finora ritenuto.