Nella storia di Pasolini la nozione di periferia rappresenta il nodo concettuale più persistente e fecondo, capace di produrre un pensiero e un linguaggio sistematicamente innovativi e anticonvenzionali. Dall’esordio poetico nella lingua marginale di Casarsa agli studi sulla poesia popolare, dalla scoperta dell’universo delle borgate a quella del Terzo Mondo vissuto come “unica mia alternativa”, dalle dolorose abiure della propria mitologia popolare fino alla cancellazione delle identità che segna il deserto postmodernista di Petrolio, lungo tutto il suo percorso Pasolini risemantizza il concetto stesso di periferia, ribaltando la marginalità in valore, l’alterità in senso. La pregnanza che Pasolini assegna a tale concetto rappresenta uno di quei casi in cui la letteratura fonda un’egemone costruzione discorsiva e culturale: a partire dall’icona pasoliniana della periferia fruttifica nel secondo Novecento una nuova immagine di marginalità sociale e di confinamento spaziale come possibile alterità, verità e significato, quasi un irrinunciabile e pervicace “sogno di una cosa”. Non sarà allora casuale che il concetto pasoliniano di periferia arrivi fino al cuore del Pontificato di Papa Francesco, in una significativa convergenza di senso ultimo.
Negli interventi che presentiamo studiosi di diverse generazioni ed estrazioni riflettono intorno al concetto pasoliniano di periferia in molteplici accezioni, non solo come luogo antropico e sociale di privilegiata ambientazione letteraria, ma anche nella sua valenza simbolica, come topos del decentrato, del sacro, del diverso, polo di una perenne tensione antagonista. A quarant’anni dalla sua morte, focalizzare le diverse valenze della periferia nell’universo pasoliniano costituisce una preziosa chiave d’accesso, di riconnessione e di interpretazione di un percorso umano, intellettuale e letterario, che così intensamente continua a parlare alla coscienza dei contemporanei.
Paolo Martino, ordinario di Glottologia e Linguistica presso la LUMSA di Roma, si è occupato di linguistica storica e filologia, dialettologia italoromanza e greca, lingue e culture in contatto nel Mediterraneo antico e medievale, etimologia, sociolinguistica, ermeneutica letteraria, riflessi linguistici di esperienze religiose. Tra le sue pubblicazioni: Arbiter (1986), Il nome etrusco di Atlante (1987), Per la storia della `ndrànghita (1988), L’“area Lausberg”. Isolamento e arcaicità (1991), I semitismi antichi nel latino (1995), Abracadabra (1998), Per la storia etimologica di insegnare e consegnare (2013).
Caterina Verbaro è docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università LUMSA di Roma. Tra le sue pubblicazioni I margini del sogno. La poesia di Lorenzo Calogero, ETS 2011. Nel 2014 con Mario Sechi ha curato l’edizione di Lorenzo Calogero, Avaro nel tuo pensiero (Donzelli). Ha pubblicato inoltre numerosi studi su la narrativa scapigliata, Svevo, Gadda, Pratolini, le poetiche e il dibattito del secondo Novecento, Pasolini, Rosselli, Occhiato, Anedda, Ferrante. È referente di «Oblio» e fa parte del Consiglio Direttivo della MOD - Società per lo studio della modernità letteraria.