Il senso comune e le scienze umane ci dicono che le parole possono essere pietre con cui colpire, bisturi con cui curare, pozioni per innamorare o ingannare, vessilli dietro cui far muovere intere masse. Capirle significa quindi sia conoscere la loro storia, sia domandarsi, non solo "cosa sta dicendo", ma "cosa sta facendo", chi le pronuncia, il "pulpito da cui viene la predica".
Un viaggio nel mondo tanto meraviglioso, quanto sempre meno frequentato delle parole, ci riserva incontri inaspettati: adozioni da altri paesi e nascite per distrazione o per parto assistito, maestri che dovrebbero essere qualcosa di più dei ministri, scorte che vanno all’estero e tornano escort. Storie singolari ma interpretabili solo sullo sfondo delle vicende a cui va incontro ogni linguaggio diffondendosi e modificandosi, arricchendosi o impoverendosi. Su entrambi i livelli l’autore conduce un’analisi che combina i registri del saggio scientifico erudito e quelli dell’ironia e del parlare popolare col suo dire pane al pane e vino al vino.
Con lo stesso stile sono affrontate le patologie cagionate al nostro italiano dai modi del comunicare moderno e ultramoderno, con televisione e cellulari come veicoli primari di contagio: da quelle modeste, poco più che escrescenze o abrasioni superficiali come il "cioè" e il "piuttosto che". Senza dimenticare mai che i giochi di parole sono spesso giochi di potere, e che le parole, nella loro apparente levità, sono carne e sangue di una cultura, così che l’impoverimento o l’imbarbarimento linguistico si accompagnano sempre a quello culturale e morale.
Piero Paolicchi, già docente di Psicologia sociale all’Università di Pisa, è noto al grande pubblico per saggi come Homo Ethicus (Ets 1987). Ha affiancato a lavori accademici come la collaborazione al Cambridge Handbook of Sociocultural Psychology, la pubblicazione di saggi rivolti a un pubblico di lettori non "addetti ai lavori". Di notevole successo La variabile G. Perché ci vogliono tanti genitori per (non) fare un imbecille (Rizzoli 2008).