Nel periodo che corre fra la scoperta dell’America e i primi decenni del Settecento, gli orizzonti linguistici della cultura occidentale si ampliano in maniera inaudita. La scoperta di nuovi mondi, etnie e lingue, le conquiste della scienza, l’attenzione alle forme della vita animale mettono in crisi le categorie conoscitive della tradizione, ivi comprese le idee relative ai tempi della storia e alla posizione degli esseri umani nella Natura. Questo libro illustra il formarsi di nuove idee e filosofie linguistiche imperniate su una visione decentrata e plurale delle nazioni e dei tipi umani, e sulla intuizione che molte specie animali (il mutum et turpe pecus degli antichi) godano di proprie forme di conoscenza, comunicazione e perfino di una propria morale. Al mito di Babele come confusione delle lingue e punizione della superbia umana subentra gradatamente una concezione aperta e problematica delle differenze linguistiche e semiotiche. Due grandi pensatori, Gottfried Wilhelm Leibniz e Giambattista Vico, variamente esprimono nelle rispettive teorie il formidabile potenziale innovativo di quest’epoca storica, imprimendo così una svolta alla filosofia del linguaggio dell’Occidente europeo.
Stefano Gensini (Firenze, 1953) è ordinario di Filosofia e teoria dei linguaggi alla Sapienza, Università di Roma. Ha dedicato monografie a Leopardi, a Leibniz, alla tradizione filosofico-linguistica italiana. Fra i suoi ultimi lavori in forma di libro, Filosofie della comunicazione (2012), Bestie, filosofi e altri animali (con F. Cimatti e S. Plastina, 2016), l’edizione e commento di G. Fabrici d’Acquapendente, De locutione. De brutorum loquela (con M. Tardella, 2016). Assieme a G. Manetti dirige la rivista «Blityri. Storia delle idee sui segni e le lingue» (ETS, 2012-).