Traduzione di Riccardo Ambrosini
Tremenda grava sui Persiani la vendetta divina: i mucchi dei cadaveri, sino alla terza generazione, muti avrebbero detto agli occhi dei mortali che non bisogna, per chi è nato uomo, impazzire di un violento orgoglio che, quando fiorisce, una spiga fruttifica che acceca, e taglia una messe che è tutta pianto.
Nella poesia di Eschilo la storia come nuda esposizione di eventi viene superata nella intuizione di una sublime e inevitabile giustizia divina: la si presagisce nelle turbate parole di una madre, la regina Atossa, vivissima nella sua trepidante consapevolezza; si rivela nel mistico sgomento di un uomo semplice, il nunzio che narra la battaglia di Salamina come prodotta dalla punizione divina della tracotanza umana; si definisce e spiega nella condanna del re evocato dalle tenbre, Dario; attraversa tutta la tragedia nel continuo, ossessivo ritorno della coscienza della propria colpa al re sconfitto che in ogni suo atto futuro ricorderà che ormai è infranto “il giogo della forza”.
La modernità spirituale della tragedia si può riconoscere nella religiosità che, viva nella rapida e drammatica espressività della poesia eschilea, è presente come elemento primario dello spirito umano in ogni nobile azione.
Per questo il continuo presentarsi di problemi morali nella tragedia coincide con una altrettanto continua ricerca di purificazione liberatrice. E lo spettatore usciva dal teatro come intimamente rinnovato.