Anno 1631: Antonio Bartaloni Seppia, influente cittadino pisano, si ammala (forse di quella peste che ci ha raccontato il Manzoni) e redige un testamento, nel quale inserisce una disposizione: ogni anno, per la festa dell’Assunta, i Priori della Città avrebbero dovuto correre un Palio in sua memoria, riprendendo così la tradizione che era stata interrotta per oltre due secoli, a causa delle occupazioni fiorentine.
Inizia così questa nostra storia sull’Arno – dove i Priori decidono nel 1635 di far correre il Palio – storia che si allaccia ad un’altra, quella degli artigiani, maestri d’ascia e calafati, che vivono lungo le sponde del fiume.
Le due storie si intrecciano ancora di più quando nel 1934 il maestro d’ascia Odoardo Fontani, detto “Pallino”, viene incaricato di costruire le nuove barche per la regata. La sua esperienza e il suo acume di vecchio artigiano lo portano a scegliere come carena per le nuove “fregate”, quella delle galee dei cavalieri di S. Stefano.
E l’Arno rivive il suo passato glorioso: tutto viene eseguito così come i Priori avevano deliberato esattamente tre secoli prima: la regata trasmette ai pisani quel sentimento di rivincita per l’orgoglio ferito che, ancora oggi per altri motivi, ci portiamo dentro. Si potrebbe dire che è l’Arno che racconta tutto questo, ora calmo e sonnolento – come dicono siamo un po’ noi pisani – ora, però, irruento e temibile, ma sempre amico e compagno di chi con lui divide sudore e fatica.