Il Cinquecentenario della Riforma è qui riletto nel suo rapporto con la grande età dell’Umanesimo e del Rinascimento, al seguito di un radicale riesame anche del rapporto tra Antichità classica e Medioevo. Riesaminati alla luce della precedente storia tedesca, Lutero e la Riforma appaiono come tipiche espressioni dello spirito del germanesimo, nel suo da sempre problematico rapporto – a cominciare dal senso della fatalità e dal culto del destino – con lo spirito della latinità e della cristianità, fin dai tempi di San Colombano e di San Bonifacio. Assai forti, ancora mezzo millennio dopo, nella “cristiana” poesia cortese e nella filosofia di Meister Eckhart, le istanze del germanesimo riesplosero poi nella Riforma e nella sua teologia, condizionata da un’antropologia della radicale negatività dell’uomo, che di esso in toto respinse l’immagine di dignitas, libertà, armonia e gusto della bellezza, offerta dal Rinascimento. L’implacabile contestazione della Chiesa nella Riforma trova pertanto la sua prima radice nell’incompatibilità del germanesimo con lo spirito del Rinascimento, della sua latinità e del grande ideale dell’“umanità una”, nato con l’ellenismo e tradotto dalla Chiesa delle origini in linguaggio cristiano.