Di mestiere, Yann Diener fa lo psicoanalista. Ha tenuto un diario linguistico dal principio di questi anni Venti, pensando di potere fare ancora la differenza tra espressione e comunicazione, ma consapevole che in molti casi distin- guere è ormai difficile.
Nel suo taccuino ha così annotato parole e modi di dire presi dal gergo dell’informatica e presenti nella lingua di tutti i giorni prima come metafore, adesso come catacresi: “Durante tutta la mia infanzia ho fatto da interfaccia tra i miei genitori”; “Sono sconnesso dalla mia famiglia”. Poi le curiose forme di codificazione che popolano il nostro tem- po: pin, password, crittogrammi... Con computer e cellulari sotto le dita, chi riflette sul fatto che sono appunto codici informatici a farli ‘girare’ e a determinare l’espressione? In questo libro spiritoso e amaro, Diener misura conseguenze individuali e collettive di questa deriva.
Nel suo celebre LTI, Lingua Tertii Imperii, il filologo Viktor Klemperer mostrò settanta anni or sono come la meccaniz- zazione del tedesco nel fosco periodo del nazismo aveva reso meccanici atti e pensieri. Yann Diener invita a chiedersi cosa sta succedendo oggi all’espressione nella nostra società glo- bale, la cui lingua è sempre più modellata dall’informatica.
Yann Diener vive e lavora a Parigi. Collabora con «Charlie Hebdo», il settimanale satirico d’Oltralpe impegnato in una strenua, a tratti lacerante difesa della libertà di espressione. In Francia, Diener ha pubblicato On agite un enfant (La fabrique, 2011) e Des histoires chiffonnées (Gallimard, 2019). Per le Edizioni ETS, il primo è uscito in traduzione italiana nel 2013, con il titolo Il bambino viene agitato. Lo Stato, gli psicoterapeuti e gli psicofarmaci.