Poesie

Dicembre 1945
Mi avviavo verso casa, in una Livorno spietrificata dalla guerra, seguito da un giovane, dinoccolato, slanciato cipresso che mi avvicinò e mi parlò.
Ci parlammo, senza convenevoli, e in quel preciso momento avvertii, avvertimmo, che fra noi, fra me, cioè, e il giovane cipresso Ernesto, nasceva e metteva rapidamente solide radici un rapporto d’amicizia che le insidiose onde del tempo, le separazioni geografiche, anche continentali e ultradecennali, non avrebbero scalfito.
Singolare amicizia, invero, perché siffatto legame – dicono – si nutre anche di dissensi, di scontri. Ho buona memoria e non ricordo che un contrasto né di fondo, né di poca rilevanza, sia intercorso tra me ed Ernesto, che pure frequentavamo una comunità di persone di notevole spessore caratteriale e intellettuale che poteva suscitare, e suscitò, anche dissapori e incomprensioni. Allora e dopo ci siamo scambiati e comunicati innumeri idee, impressioni, stati d’animo, ma, sebbene l’ossimoro sia abusato, va sottolineato che anche i silenzi, talora (troppo spesso!) imposti dalle vicende della vita, sono stati eloquenti.
Ora il giovane cipresso è un vecchio cipresso, ha la cima un po’ piegata, ma le sue ali d’artista si sono rafforzate, sono più visibili che mai. Sta solo, il cipresso Ernesto, in cima ad un poggio, è la materializzazione della “cipressità”, che ritrovi nei quadri, nei disegni, nelle sculture, nelle poesie che nella mia casa di Lecco alleviano le altrimenti lunghe giornate.
Non è poco, anzi...

Guglielmo Agretti
Lecco 2002