La filosofia della nostra epoca è spesso ossessionata dall’esigenza di riscoprire la specificità del tempo umano rispetto a quello quantitativo, «spaziale» delle mere cose, che il pensiero precedente avrebbe privilegiato; e vuol raggiungere, in ciò, una nuova, più concreta visione della vita.
Partendo da una riflessione su alcuni autori paradigmatici, questo libro vuole: chiedere se tale
tentativo si possa considerare riuscito; cercar di mostrare che il suo successo sovente è piuttosto proclamato che realmente ottenuto, perché proprio nel modo in cui quegli autori affrontano la dimensione cruciale del presente viene messa a nudo la dipendenza della “nuova” concezione del tempo da quella “antica”; iniziare a suggerire una possibile via alternativa,
(ri)proponendo la centralità filosofica della quotidianità come forma originaria del nostro vivere. Ciò vorrà dire: non pensare sempre da capo la vita come tempo (ove quest’ultimo poi viene inteso, pur occultamente, proprio secondo i modelli che si volevano superare). Ma pensare il tempo, piuttosto, a partire dalla vita, dalla concretezza originaria delle maniere in cui ognuno di noi, ogni giorno, “ha” ed “è” tempo: per cominciare magari a sospettare come sia convenzionale e mal fondata l’immagine onnipresente del tempo umano come inarrestabile flusso; e come esso sia forse, invece (proprio nel presente che ogni volta viviamo, nell’orizzonte dell’“oggi”!), innanzitutto “stabilità” d’un ritmo… – sempre esposto, certo, alla possibilità dell’incrinatura.