Il saggio analizza l’allestimento de "Il giardino dei ciliegi" di Cechov, presentato da Peter Brook a Les Bouffes du Nord nel 1981. Prima, e finora unica, messa in scena di un testo cechoviano del regista inglese, rappresenta un momento di raffinata eleganza compositiva e di estremo rigore interpretativo. Con un implicito riferimento alla prima rappresentazione del Teatro d’Arte di Mosca, Brook decide di stemperare i toni tragici e cupi, svolgendo tutta la vicenda in un continuo movimento emotivo, dimostrando che le polemiche sul genere tra Stanislavskij e l’autore non erano speciose, bensì indicavano una linea interpretativa precisa e percorribile. Il risultato finale appare come una profonda – e nello stesso tempo cruda – riflessione sulla vita che sfugge, e un invito a coglierne gli aspetti più sinceri e positivi. Nelle sapienti mani di Brook, Cechov si affranca da ogni tentazione di semplice bozzettismo e diventa terreno per sviluppare una potente e assoluta narrazione dell’umano.