Søren Kierkegaard ha scritto una delle critiche più radicali di una concezione della vita basata su principi estetici. Il libro mette in luce alcuni dei concetti fondamentali della vita estetica: il silenzio e il segreto. Il silenzio è l’esito dell’autistica chiusura del sé umano in se stesso. Il segreto è una comunicazione negata, in quanto sigilla qualcosa che non può e non deve essere comunicato agli altri. Chi pratica il segreto mira al dominio sugli altri. La vita estetica è regolata dalla disperazione, quella malattia del sé umano che è per la morte, poiché ha la morte come proprio motore e proprio fine. Tuttavia, accanto alla critica della vita estetica, c’è in Kierkegaard un’altra estetica, un’estetica del religioso, un’estetica fondata teologicamente e in particolare cristologicamente. L’estetica del religioso è il discorso sulla fede come percezione, come aisthesis del meraviglioso. Percepire il meraviglioso significa percepire tanto il peccato quanto il perdono. La vera percezione del sé peccatore si ha paradossalmente nel sé perdonato. L’estetica del religioso in Kierkegaard è un’estetica del perdono. Il volume si conclude con alcune analisi di opere cinematografiche (Lars von Trier), letterarie (Primo Levi) e pittoriche (Emil Nolde) che esemplificano i concetti espressi.