A Lucca, città dalle cento chiese, i conflitti giurisdizionali sono continui e mentre si moltiplicano altari, monasteri, conventi e oratori di confraternite, gli scontri con Roma, pur sempre ricondotti all’interno della logica del diritto canonico e della consuetudine, sono quotidiani e combattuti a colpi di responsi teologici. Il teologo è figura professionale ancora importante e ben pagata nel Settecento lucchese: teologi di Salamanca, consultori in iure della Repubblica di Venezia, teologi locali, sono consultati dallo Stato e dai privati.
Il testo, in effetti, tratta alcuni temi della politica ecclesiastica della Repubblica di Lucca, una delle più avanzate tra quelle degli Stati italiani e testimonia l’esistenza di una fitta rete di relazioni che legavano il patriziato lucchese non solo agli ambienti del giansenismo romano, ma a riformatori come Campomanes o Du Tillot. Il limite ad ogni spinta innovatrice è però quello della conservazione, ad ogni costo, dell’assetto sociale del “perfetto Stato lucchese”, funzionale agli interessi di un patriziato che, sia pure attraversato da divisioni tra nobili impoveriti e famiglie di grandi mezzi, che ne minavano la concordia, è ancora molto attento e combattivo nella difesa della libertas cittadina e dei propri privilegi.