Fu, la vita di Vachtangov, una lotta col tempo e con la morte. Morì a trentanove anni, braccato da un male incurabile, costretto a frequenti interventi ed a lunghe degenze in ospedali e case di cura. Nel tempo che restava, prove, spettacoli, lezioni a ritmo forsennato. In questa stringente situazione, Vachtangov si afferma come uno dei grandi maestri della regia russa del Novecento, accanto a Stanislavskij, Mejerchol’d e Tairov. Entra al Teatro d’Arte di Stanislavskij e fra gli allievi è quello più amato: il maestro gli affida corsi di studio e lezioni di sperimentazione del suo “sistema”. Accanto all’attività nel Teatro d’Arte, Vachtangov lavora con entusiasmo alla creazione di uno Studio, questa volta composto da non professionisti. Con questo gruppo realizza alcuni tra gli spettacoli più importanti della sua carriera, ed elabora un nuovo stile dove la teatralità ed il libero gioco della fantasia diventano fondamentali. Questa la sua grande lezione: un regista, per geniale che sia, non può lavorare sui testi e sulle teorie senza uomini, non può crescere artisticamente se non in stretto contatto con un gruppo che egli stimola e arricchisce e da cui a sua volta riceve stimoli e arricchimento. In questo fu un meraviglioso pedagogo. Oggi di lui non resta che la leggenda ed un messaggio di gioia del fare teatro, oltre a pochi scritti sparsi tra diari, taccuini, lettere che qui sono raccolti e presentati al lettore italiano.