L’incontro con Alexis de Tocqueville, nell’aprile del 1843, apre ad Arthur de Gobineau la via della carriera diplomatica: il giovane polemista ha l’opportunità di intraprendere quella vita di viaggio che gli appare «la sola, l’unica degna di un essere pensante» e di arricchirsi di esperienze decisive per la sua vena narrativa.
Dalla prima sede in Svizzera alla missione in Persia, da Rio de Janeiro a Stoccolma, il diplomatico francese intreccia infatti gli obblighi del ruolo con la redazione di novelle, resoconti di viaggio, analisi di usi e costumi. Sono studi che si pretendono scientifici, come quelli già pubblicati in patria e che gli varranno più tardi un’ambigua fama – ricordiamo in particolare il famigerato “Essai sur l’inégalité des races humaines” (1853-1855) che all’inizio del XX secolo costituirà un antefatto teorico di ideologie razziali.
Ma i testi più felici che si formano a contatto con tante diverse culture sono le novelle, testimonianza a un tempo critica e lirica del fascino di un Mediterraneo arcaico e arcadico, o di un esotico Oriente.
La più perfetta di tutte, per colore e misura, porta il nome di Akrivie Phrangopoulo, dissimulato omaggio alla famiglia dell’ex ministro Nicolas Dragoumis, e soprattutto al fascino di sua figlia Zoe. Quella Grecia dove Gobineau aveva trascorso, tra il 1864 e il 1868, gli anni più felici della sua vita, è rievocata con la percettibile nostalgia di un testimone a cui la sorte ha riservato – come al romantico protagonista del racconto – l’incontro con un frammento dell’Eden.