Elio Petri, nel panorama del cinema italiano del dopoguerra, occupa una zona oscura, ambigua. Eclissato dall’impeto ideologico che ha investito il controverso fenomeno del «cinema politico», il cineasta romano è stato attaccato, discusso e infine rimosso, senza di fatto essere indagato a fondo. La scelta di guardare alla figura dell’autore dalla prospettiva assai singolare di La decima vittima – un film che non appartiene al periodo «maturo» e che, almeno apparentemente, è distante dalle inclinazioni della sua produzione maggiore – muove dall’intenzione di andare oltre la sbrigativa e sfuggente etichetta del cinema politico. Il fascino sgargiante di quest’opera, spiccatamente pittorica, sembra rivolgersi altrove; ma in realtà, la maschera pop, costruita dal regista con accurata esuberanza figurativa, trasforma l’apologo fantascientifico di La decima vittima in un pamphlet graffiante e coloratamente corrosivo. Esiste dunque un Petri impolitico? L’analisi di questo film eccentrico intende rispondere a questa domanda, cercando di andare oltre la superficie accattivante delle figure, nel tentativo di tracciare un ritratto dell’autore diverso dal consueto.