In che modo la lapidaria critica del pulchrum che Spinoza opera può motivare - piuttosto che sconsigliare - un interesse per l'"estetica" spinoziana? Questo libro intende mostrare come il rapporto di esclusione tra Spinoza e l'estetica sia direttamente collegato alla componente "ortodossa" dell'opera del filosofo olandese, quella cioè che certifica la propria appartenenza alla modernità attraverso una serie di precise scelte tematiche, quali la dimensione soggettiva dell'immaginazione, la svalutazione delle relazioni, l'adesione a un determinismo di impronta tradizionale. Viceversa, al solo Spinoza "eterodosso", che propugna una nozione tutt'altro che soggettivistica dell'imaginatio, fonda un'autentica ontologia della relazione e trasforma il determinismo in un concetto inedito della necessità, sono offerte le condizioni necessarie per quella che avrebbe potuto essere un'estetica compiuta. Di questa costruzione intellettuale in massima parte inattuata è possibile leggere i segni virtuali o vicari soprattutto nel Trattato teologico-politico, e in particolare nel difficile esame del concetto di rivelazione che in esso è contenuto. L'"estetica vicaria" spinoziana si qualifica così come vera e propria iconologia del Dio-Natura, cioè come studio della produzione di forme e di immagini che costituiscono le figurazioni essenziali dell'immaginario antropologico e religioso occidentale.