Charles Dullin (1885-1949), allievo di grandi maestri e a sua volta maestro di altrettanti grandi allievi, è una delle personalità più poliedriche del teatro del Novecento: attore, regista, pedagogo, direttore di teatro ed attento teorico del mestiere dell'attore. Della sua esperienza teatrale - che si colloca fra le due guerre mondiali - occorre recuperare alla comprensione lo "spostamento di centro", il suo essere "a parte" e "contro" un uso accettato del teatro. Oggi il teatro dell'Atelier, e quelli del Cartel, appaiono la tradizione della cultura teatrale francese, ricondotti ai principi della regia; ma anche Dullin non fu un "vincitore", e il suo teatro era rivolta, esperienza sofferta di ricerca di identità e verità, un teatro che nel suo "a parte" è stato una componente attiva e di disturbo dentro una società e la sua storia. Dullin, che viene dall'esperienza del Vieux Colombier di Jacques Copeau, chiama il suo teatro "scuola nuova dell'attore": la formazione al teatro si fonde per lui con l'esistere del teatro, perché il mestiere dell'attore si fonda sull'uomo attore - prima di saper fare occorre saper essere. A questo Dullin ha creduto. Il libro, che offre una ampia ed organizzata raccolta di scritti e di riflessioni di Dullin e su Dullin (con l'aggiunta di un ampio saggio introduttivo di Daniele Seragnoli) permette di ricostruire il percorso e l'esperienza teatrale di "uno dei massimi esponenti della pedagogia teatrale del Novecento, in quanto formazione complessiva dell'individuo e non semplicemente in quanto educazione alle nuove tecniche creative".