Passeggiando sull'argine dell'Arno entrava spesso nei canneti e vi sostava. Gli sembrava di essere in un luogo magico. La luce del sole riverberava sulle canne e creava spazi luminosi, ma nei punti in cui le canne erano più fitte e la luce non penetrava vi erano ampie zone d’ombra. Sostando in queste zone si poteva vedere all'interno e fuori del canneto e al contempo occultarsi alla vista degli altri, un luogo protetto, privato che a Lorenzo dava una certa eccitazione. Paolo gli aveva detto che i ragazzi del paese quando volevano stare con una ragazza si nascondevano nei canneti. Per Lorenzo i canneti erano il luogo dell’erotismo e della sessualità che ancora non aveva vissuto. Entrando nei canneti Lorenzo immaginava di incontrare qualche fanciulla che spinta dalla sua stessa fascinazione erotica vi si fosse avventurata e lo stesse aspettando. Era Maria, la figlia dei contadini di Bibbiani, dal corpo sottile e modellato, dagli occhi azzurri e sfuggenti, dai lunghi capelli dorati, che Lorenzo immaginava di incontrarvi con quel vestitino che un giorno le aveva visto addosso, un vestitino leggero, di seta rossa con disegni a fiori gialli e bianchi che il vento le faceva aderire al corpo avvolgendo la soffice rotondita dei glutei. Maria dalle labbra perennemente increspate in un sorriso indecifrabile appena accennato, dalla voce sottile e delicata e dalle molli movenze. Ma immaginava di incontrarvi anche l’altra Maria, quella che abitava alle case popolari vicino alla Pieve, Maria dai capelli neri annodati in una lunga treccia, dalle lunghe gambe, dai neri occhi profondi e penetranti, austera che faceva venire in mente una fortezza inespugnabile. La vedeva spesso passare in bicicletta per via Dante, pedalava con una postura altera, velocemente, con la testa ben dritta e lo sguardo sempre rivolto di fronte a sé; nel pedalare la gonna si sollevava svolazzando e scopriva le sue gambe lunghe, affusolate.