Nel corso dell'ottavo secolo, secondo una costante linea di tendenza sviluppata dai suoi vescovi, il cammino della chiesa lucchese fu progressivamente orientato verso il superamento dell'eresia ariana finché, sotto la guida del beato Giovanni I (780-800), lo scopo poté dirsi sostanzialmente raggiunto. Sullo sfondo di questo percorso si stagliano gli avvenimenti del tempo, caratterizzati dalla promozione del culto per il Cristo Salvatore e dall'esaurimento del dominio longobardo. La sconfitta di Pavia del 774 non determinò l’immediata instaurazione dei vincitori Franchi nelle realtà periferiche tanto che, per alcuni decenni, essi furono titolari di un potere senza radici. Lucca continuò infatti ad essere longobarda nella totalità del clero, nell'oligarchia fondiaria, in quella ecclesiastica che esprimeva il vescovo e in quella culturale che si formava alla scuola della cattedrale.
Attorniato e sorretto dai canonici a lui fedeli, Giovanni seppe abilmente sfruttare le opportunità offerte da questo lento cambiamento per trasferire alla cattedra di S. Martino un vasto potere attraverso il crescente controllo d'immense proprietà fondiarie. Ebbe l'indubbio merito di riuscire a traghettare la sua chiesa verso la nuova realtà, vincendo resistenze e contrasti anche violenti. Le dimensioni dalla sua impresa appariranno nella giusta prospettiva se si considererà che riuscì a farlo innestando sulle radici ariane il culto trinitario di quel Domini et Salvatoris (poi Volto Santo) che avrebbe costituito per i secoli a venire il principale carattere distintivo della lucchesità. Fatto non meno importante fu quello d'essere riuscito, lui longobardo, a guidare con mano ferma e sicura un clero appartenente per intero alla stirpe sconfitta e costretto, sul piano teologico, a una non facile scelta di campo.