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Un allestimento può essere considerato una architettura pur se effimera o temporanea? Credo sia fondamentale la differenza in termini spaziali: una architettura presuppone l'esistenza di uno spazio destinato ad assolvere precise funzioni; l'allestimento può invece essere solo una immagine o una scenografia, il cui scopo fondamentale è quello di comunicare il messaggio dell'esposizione. Un allestimento può ma non deve essere necessariamente una architettura.
Molte altre sono le cose da discutere sul tema.
Achille Castiglioni ricordava che la grande differenza tra un'architettura e un allestimento è che l'allestimento ha un'ora e una data in cui è definito. Certamente lo spazio temporale determina delle condizioni particolari che incidono fortemente sulla progettazione. Pensiamo ad esempio ai materiali utilizzabili negli allestimenti che non potrebbero essere inseriti in un manufatto destinato a durare.
Un aspetto che, in questa breve presentazione del numero della rivista, vorrei più di altri indagare, è il tipo di rapporto che l'allestimento può o deve instaurare con la sede espositiva, cioè le sue relazioni con l'ambiente precostituito in cui si colloca. Credo rappresenti un fattore inevitabile di confronto, condizionante l'impostazione del progetto e dell'immagine della mostra.
Come per qualsiasi intervento di trasformazione le caratteristiche storico-architettoniche dello spazio esistente (nel caso contenitore) ove collocare l’esposizione, assumono una grande importanza, innanzitutto rispetto al grado di sintonia esistente tra quelle ed il tema della mostra. Ciò rappresenta un fattore condizionante per l’articolazione dell’ordinamento e la selezione della serie di oggetti, nonché per la loro organizzazione spaziale sulla base dell’ipotesi culturale data.
Nel caso della mostra “Mare Nostrum”, le opere esposte hanno nel contenitore, il loro ambiente naturale; il progetto è risolto nella giusta collocazione degli oggetti e nella loro interrelazione con le forme spaziali.
In altri casi illustrati vediamo invece la condizione di estraneità tra il contenitore e le opere esposte, realizzata attraverso la costruzione di un grande oggetto praticabile, quasi un edificio nell’edificio, all’interno del quale si attua l’isolamento delle opere dal contesto: i percorsi e volumi espositivi della mostra “Viva la Torre” nelle sale di Palazzo Lanfranchi, il padiglione espositivo della mostra sull’architetto Gherardesca, i volumi costruiti nelle sale di Palazzo Reale per la mostra dei Lorena, sono allestimenti dove il tema del progetto è incentrato sulle caratteristiche del manufatto espositivo e delle sue relazioni con l’ambiente nel quale si colloca. In “Percorsi paralleli fra arte e industria”, lo sviluppo planimetrico progettato per l’allestimento, si svolge in modo relativamente autonomo dalla spazialità dell’ambiente; è la volontà di ricreare un altro spazio annullando il primo, anche e soprattutto per mezzo della luce
Ma vi sono anche i casi intermedi. L’esposizione dei dipinti di Francesco Tomassi in “Miti senza fede” è organizzata lungo un muro espositivo, collocato nel contesto delle sale del Museo di San Matteo, che modifica la percezione dello spazio. Le opere, l’allestimento ed il contenitore dialogano e costituiscono, insieme, la “mostra”.
Tutte le diverse componenti linguistiche dell’esposizione devono trovare una sintesi spaziale, la forma è determinata dal tema, dall’ordinamento, dalle caratteristiche della sede, dal tempo, dal budget, da quella che si propone come immagine globale della mostra. All’interno di tutto questo le scelte personali del progettista segnano in modo rilevante il carattere dell’intervento allestitivo.