Questo libro è dedicato a un tema letterario fra i più discussi e controversi, la donna. L'idea è semplice: traghettare il corpo malato del récit réaliste verso i lidi e i simulacri marmorei del récit antiquisant, del roman-péplum, all'interno di una transizione romanzesca in gran parte dannunziana, collocabile fra il 1869 e il 1913 e aperta a quei dintorni in cui "clinica" e "mitologia" si intersecano, offrendo più o meno ideali passaggi di consegne in termini di storia della cultura e un fertile terreno alle "metamorfosi della seduzione". Tenendo la letteratura europea come "basso continuo" e praticando "sconfinamento" e "amplificazione" fino a dilatare e a mutare la percezione canonica di certe testualità (La Regenta, Aphrodite, Monsieur Teste) e la mappa letteraria che fra Ottocento e Novecento le accoglie, emerge via via un iter che cerca di ricomporre la seduzione tra "anarchia" e "artificio" in seno a un'estetizzazione culturale del patologico. Il corpo malato della donna trasfigura in statua, assorbendo i dati socialmente più devianti (follia, isteria, sterilità) e creando sublimi reificazioni e docili trapassi simili a quelli messi già in atto dalla tubercolosi, malattia contagiosa ma "a lieto fine" per colui che vuole ritrovare la famiglia e i valori della sana borghesia dopo la dipartita dell'amante (Tigre reale). Così l'uomo non si ammala e non perisce (come invece avviene, rispettivamente, in Fosca e Malombra), non deve uccidere-uccidersi (come nel caso del Trionfo della Morte) e riesce a circoscrivere la seduzione in un antico, lontano e naturale colosseo (Le vergini delle rocce) – ma a partire da uno "spazio" giocato sull'io del fascinatore – o finanche in un ailleurs mitico e pur muovendo da un contesto decisamente moderno attraverso una ricerca sul "tempo" (La Leda senza cigno).