"Un esempio dello stile eclettico italiano", così Reyner Banham definisce nell'ottobre del 1952 il palazzo Grande di Livorno – realizzato da Luigi Vagnetti (Roma 1915-1980) nella omonima piazza della città a partire dal gennaio del 1950 – nell'intento di riuscire a cogliere le peculiarità dell'architettura italiana a lui contemporanea rispetto a quelli che sono i tratti distintivi – o, per dirla alla Banham, dei dogmi – del Movimento Moderno. Nel palazzo Grande, infatti, l'International Style è uno stile tra gli altri, un elemento all'interno di un vocabolario di cui fanno parte anche forme prese in prestito dal passato. E questo modus operandi – plausibile, sostiene Banham, anche in seno al Movimento Moderno a patto che gli stili utilizzati siano puri in se stessi – è proprio quello che ha generato l'edificio del Vagnetti.
Non si tratta però di una arbitraria raccolta di elementi disparati, come sottolinea Saverio Muratori in un articolo di poco più tardo, ma piuttosto dell'utilizzo sapiente di forme che, al di là della loro occasionale derivazione, acquistano senso solo se viste in funzione del quadro unitario dell'opera.
Il giudizio di sostanziale apprezzamento espresso sia da Banham che da Muratori nei confronti del palazzo Grande stride tanto con l'atteggiamento di generale disinteresse che è stato riservato a questa opera dalla critica architettonica contemporanea, quanto con l'opinione essenzialmente negativa che ne ha il cittadino livornese, in specie colui che più vivida ha conservato nella memoria l'immagine dell'originaria piazza priva del 'Nobile Interrompimento'. Appellativo questo con il quale, come sottolinea il Vagnetti stesso, "per mordace sarcasmo o per vanità" le polemiche di stampa e l'opinione pubblica battezzarono da subito il nuovo fabbricato