Quale il ruolo di Jorge Luis Borges nella definizione della modernità letteraria? Lo scrittore argentino è, davvero, il genio infantile di Harold Bloom, pronto a infondere in ogni sistema conoscitivo il respiro, il pathos dell'arte? Sono, questi, alcuni interrogativi che percorrono La teoria nella letteratura dove il nesso tra letterario e non letterario segue il filo della logica abduttiva e, ancorando il ragionamento ai dati percettivi, ridisegna il concetto di finzione. Il titolo, implicito omaggio a Mario Lavagetto, suggerisce come la riflessione metaletteraria, anche quando incrini le convenzioni artistiche o pretenda di sostituirle con l'utopia delle sue congetture militanti, resti un doppio della letteratura. Ciò non avviene perché il testo sia uno scheletro aereo; la sua mutevole identità è, piuttosto, basata sull'esprit de synthése, pensiero che si coagula nell'esattezza indefinita delle immagini. L'ossimoro presuppone che non ci si esprima efficacemente e non si ragioni solo attraverso le ferree maglie dell'apodissi. L'opera di Borges e la sua ricezione italiana coinvolge, oggi, sia il critico professionista, sia il docente di materie umanistiche nelle scuole, perché al suo interno la teoria non si dà come un significato da estrarre, ma come una domanda ermeneutica sulle condizioni del senso e della coerenza letteraria. A essa il lettore arriva percorrendo i sentieri di un'intelligenza divergente e pragmatica che intreccia, nella sua variegata tela, i saperi più vari, l'osservazione psicologica, le risorse immaginative, gli ictus del desiderio. Perché la nota più vibrante della competenza è quella creativa che tiene aperti i confini disciplinari e scommette anche sulle conseguenze di un'azione o di un'idea: così fa l'uccellino di Peirce nel tentare il volo, senza considerare troppo le astratte regole dell'aerodinamica.