Sul finire del XVI secolo anche il genere tragico, l'ultima e più sofferta conquista innestata sul supremo esempio della tradizione classica, poteva oramai dirsi del tutto assimilato alla produzione culturale italiana. La via battuta da Trissino, Giraldi e Aretino aveva trovato il suo culmine nel Torrismondo tassiano, di cui le tragedie di Pomponio Torelli sono figlie precoci ma già sorprendentemente mature. Composti in poco meno di un ventennio in un piccolo castello della campagna parmense, i cinque titoli del Conte di Montechiarugolo (Merope, Tancredi, Galatea, Vittoria e Polidoro) stupiscono per l'alto tasso di sperimentazione e per la varietà di fonti letterarie cui si ispirano, dal magistero euripideo ai più recenti "classici" del medioevo volgare (Boccaccio e Dante). Sullo sfondo si staglia un unico, grande tema: il rapporto del sovrano con il suo popolo e le responsabilità cui è chiamato a rispondere chi detiene il potere, nella certezza che questo non vada esercitato in solitaria bensì con il generoso ausilio di tutta la società civile.
Pietro Montorfani è dottore di ricerca in Scienze storiche, filologiche e letterarie dell'Europa e del Mediterraneo. Ha insegnato presso la Mary Washington University (Virginia) e l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove tiene seminari di letteratura del Rinascimento e di storia della critica letteraria. Tra le sue pubblicazioni si ricordano l'edizione delle poesie di Gianfranco Contini (Nino Aragno Editore, Torino 2010) e alcuni studi sull'epoca rinascimentale (Leonardo da Vinci, Lodovico Dolce, Pomponio Torelli). Si è occupato anche di poesia del Novecento e di letteratura svizzera di lingua italiana.