Con la descrizione delle coste brasiliane Amerigo Vespucci diede vita alla percezione di quella terra come un nuovo Eden, che giunge fino alla nostra odierna cultura di massa pur se svilita nella promozione turistica; secondo alcuni studiosi, ad esempio, l'isola di Utopia, il luogo geosofico inventato da Thomas More, si ispirerebbe all'arcipelago di Fernando de Noronha, sito al largo delle coste del Pernambuco. L'idea del giardino della Grazia corre sotto traccia nei due differenti modelli di colonizzazione sperimentati nella fase caratterizzata dall'egemonia mondiale della produzione di zucchero del Nordeste: cattolici lusitani e Neerlandesi calvinisti ed ebrei si posero nei confronti del paese con atteggiamenti ambivalenti, oscillanti tra la rapina delle sue ricchezze - peraltro mediante la barbarie della schiavitù - e la contemplazione di una bellezza ultraterrena, illibata ed opulenta. Gli ordini religiosi da un lato e, dall'altro, un politico di genio e di cultura umanista come il principe Johan Maurits van Nassau-Siegen, introdussero in quelle regioni qualità architettoniche consustanziali ad un'intima sacralità dei luoghi; pur nella profonda diversità dei loro rispettivi fini, entrambi considerarono la trasformazione del territorio e l'arte del costruire come strumenti essenziali per dar corpo al progetto divino affidato all'umanità.
Terra di drammatici e stridenti contrasti - così come la definì Roger Bastide cinquanta anni fa - il Brasile è oggi un'immensa realtà sub-continentale, assai articolata e composita, lanciata in uno sviluppo economico vertiginoso che la induce verso un'orgogliosa rivendicazione di autonomia dalle proprie radici coloniali. Eppure non possono essere posti in discussione i legami con la cultura europea; tramite il Portogallo, ovviamente, ma anche - pur se in modo meno appariscente - con altri contesti; ciò è testimoniato soprattutto nell'architettura, ove è possibile recuperare molteplici apporti, non casuali ed effimeri né estrinseci, provenienti dall'ambiente artistico toscoromano e da quello veneziano.
Le architetture costruite nella lunga e travagliata età dello zucchero - soppiantato poi dal ciclo economico dell'oro, che avrebbe avviato lo sviluppo delle regioni meridionali - offrono, pertanto, non solo numerose testimonianze di notevole valore estetico ma anche preziosi documenti storici per la ricostruzione dei canali di diffusione della cultura delle diverse scuole italiane d'architettura nei paesi europei e, successivamente, nei loro rispettivi dominî d'oltremare.
Marco Spesso è docente di Storia dell'Architettura presso l'Università degli Studi di Genova; le sue ricerche sono rivolte attualmente soprattutto verso l'analisi delle varie articolazioni della cultura progettuale in età moderna riguardo alla trasformazione dello spazio antropizzato.