Gli istroromeni, minuscolo gruppo linguistico dell'Istria, della cui storia non è certo quasi nulla eccetto le dolorose vicende dell'ultima guerra, che hanno provocato una loro drammatica diaspora, abitavano sulle colline intorno al lago di Felicia, ora, dopo la bonifica avvenuta negli anni '30, splendente vallata ai piedi del Monte Maggiore: una piccola povera ma felice arcadia, l'hortus conclusus della loro vita e della loro particolare parlata romanza.
Ma ormai le vecchie case di pietra, un tempo spesso coperte da tetti di paglia, sono occupate da gente venuta di fuori: solo alcuni anziani, che sono rimasti perché non hanno avuto cuore di allontanarsi, parlano ancora il vetusto idioma. Per un miracolo della storia, sopravvive a New York una piccola colonia, anch'essa destinata all'esaurimento. L'unica cosa che potevo fare, era recuperare dalla mia memoria e da quella dei contadini diventati a forza cittadini di una metropoli, i relitti di un funesto naufragio. Questo libro vuol essere un archivio di quanto ancora sopravvive della cultura degli ultimi istroromeni e specialmente della loro (e mia) lingua moritura. Ma esso è anche un "piccolo viaggio sentimentale" nella mia autobiografia, un'elegia sulla fine di un mondo, del nostro mondo istroromeno.
Antonio Dianich è un istroromeno nato a Fiume nel 1933. Nel 1948 ha dovuto abbandonare il suo paese. Si è laureato in Lettere Antiche all’Università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore. Ha sempe insegnato italiano e latino nei licei italiani, anche in quelli di Madrid e di Istanbul. Attualmente è in pensione: vive a Pisa, ma ha scritto questo libro tra gli olivi della Casa di Cimitagna, sulle pendici di un altro Monte Maggiore, dove cresce e produce ottime prugne un albero che i genitori portarono con sé dall’Istria, quand’era solo un germoglio con due piccole pallide foglie.