Lo spaesamento verbalizzato di un migrante, alla ricerca di nuove identificazioni dopo aver superato la soglia. Il folle grido di un omosessuale ancheggiante. Indigeni in gabbia, ammaestrati e pronti all'esportazione, o relegati ai margini del quadro, quale tappezzeria che fa ambiente. Grandi seduttori perversi che assediano giovani imberbi o ingenue fanciulle, coinvolgendoli in pratiche a dir poco riprovevoli: lettura, musica elettronica, sodomia. Puri corpi che non (si) dicono ma che unicamente fanno, Soggetti ineffabili che, nella loro unicità irriducibile, incarnano il mistero dell'essere, rivelando le intermittenze del cuore e i paradossi dell'intimità. Di questo eterogeneo coacervo di figure e pratiche filmiche, Nient'altro da vedere dà conto, proponendo un viaggio inedito e appassionante attraverso le rappresentazioni delle omosessualità e delle alterità etniche nella cinematografia europea del Novecento. Con un'amplissima rete di esempi e alternando riletture di film popolari come La patata bollente o Giovani mariti ad analisi di opere misconosciute e sorprendenti, Manuel Billi giunge a elaborare un modello teorico articolato e sincretico che disvela le forme di sguardo e di riconoscimento, i pregiudizi e i saperi socioculturali naturalizzati (stereotipi, cliché) che presiedono alla configurazione narrativa di personaggi Altri (A), ovvero non Eterosessuali Europei (EE). Manuel Billi (1979) ha studiato a Pisa ed è dottore in Arti Visive, critico cinematografico (“Gli Spietati”) e docente e ricercatore presso le Università Paris Est-Créteil e Paris 3, Sorbonne Nouvelle. Vive a Parigi. Autore di numerosi saggi in italiano e in francese sul cinema e sull'arte contemporanea, collabora con il Centre Pompidou e con il collettivo d'artisti Pointligneplan.