L'elogio di sé è stato sempre - o quasi sempre - considerato una pratica da evitare, una pericolosa e fastidiosa concessione al proprio narcisismo. Il mondo antico non faceva differenza: i trattati retorici greci e latini invitavano ad evitare ogni autoelogio, a meno che questo non fosse reso strettamente necessario da circostanze quali, ad esempio, l'obbligo di ribattere ad un'accusa o di ripercorrere, per difenderlo, il proprio operato. Anche quando necessario, tuttavia, l'autoelogio era tanto più apprezzato quanto più si mostrava misurato. A questa linea di tendenza, ben maggioritaria, si oppone con forza l'orazione 28 K del retore greco Elio Aristide, vissuto nel II secolo d.C., famoso per la sua eloquenza e per la sua devozione totalizzante al dio Asclepio, di cui sono testimonianza i celebri Discorsi sacri. L'orazione trae spunto da una critica che il retore aveva ricevuto proprio perché aveva elogiato se stesso apertamente, durante una declamazione. La sua tesi è, nei fatti, opposta a quella dominante: l'autoelogio è lecito, anzi auspicabile, quando si è una personalità eccellente, ed egli - naturalmente - si ritiene tale. Partendo dal presupposto che tacere i propri meriti è una forma di ipocrisia, Aristide sostiene che mostrare il carattere straordinario della propria eloquenza è quasi un obbligo, che si rivela di grande utilità per il prossimo. A riprova di ciò, ripercorre tutta la letteratura greca del passato, mostrando come grandi poeti e prosatori abbiano spesso e volentieri adottato una prospettiva autocelebrativa. Al di là dell'elemento di esaltazione che facilmente - e forse troppo rapidamente - il lettore di oggi potrebbe intravedervi, la teoria dell'autoelogio è invece coerente con la promozione del nuovo ideale di uomo di cultura del quale Aristide si fa promotore, un ideale secondo il quale il vero oratore, dotato di virtù eccelse, è in contatto diretto col divino, parla per ispirazione divina, e dunque il suo autoelogio finisce per essere al contempo un omaggio al dio che guida i suoi passi. Oltre che per la fedele e costante dedizione alla retorica, e oltre che per l'adozione di una nuova spiritualità che sotto molti aspetti anticipa quella delle epoche successive, Aristide tocca l'interesse dei moderni proprio per questa nuova idea del sé che traspare dalle sue opere.
Lorenzo Miletti è dottore di ricerca in Filologia classica presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II e, dal 2011, Postdoc per lo European Research Council. È stato responsabile scientifico del progetto Culto imperiale, paganesimo greco e nuova spiritualità orientale all'epoca degli Antonini: il caso di Elio Aristide, promosso dal Consiglio Nazionale delle Ricerche; fa parte dell'équipe internazionale coordinata dall'Université de Strasbourg che ha come obiettivo l'edizione critica delle orazioni di Elio Aristide. I suoi principali campi di indagine riguardano Erodoto e la storiografia greca, la retorica greca e latina di età imperiale, Euripide, la fortuna dei classici in età umanistica e rinascimentale. È autore di numerosi saggi e del volume Linguaggio e metalinguaggio in Erodoto, Pisa-Roma 2008.