Gli uomini, che per millenni hanno usato i cavalli, impossessandosi della loro forza e della loro bellezza, ne sono stati, in realtà, essi stessi posseduti. Inseparabili compagni di viaggio e di erranze, in pace e in guerra, i cavalli hanno finito con l'abitare nei sogni degli uomini: di quei sogni sono intessuti i miti, le storie, i racconti, le fabulae antiche in cui uomini, cavalli e dei si incontrano, ancora oggi, intessendo la trama di un comune destino, rivelando, per indizi e frammenti, il vincolo potente che li lega. Nel nostro immaginario i cavalli sembrano essere ubiqui, onnipervasivi. Sono corpi trasfigurati, corpi chimerici che volano, piangono, parlano, profetizzano; enigmatici operatori di destino, sono animali-guida apocalittici o salvifici. Nella realtà dei loro corpi fisici, che ne sottende osmoticamente ogni trasfigurazione estetica, i cavalli, inoltre, muovendosi, sembrano danzare, secondo ritmi e armonie riconoscibili. L'arte dell'equitazione, ovvero l'equitazione come forma d'arte, codificata nei trattati rinascimentali in cui si legge che "la musica è diletta al cavallo", è pertanto un'arte intrinsecamente musicale. Il buon cavaliere deve avere orecchio, come un esperto musicista, affinché il suo corpo si possa accordare al corpo del cavallo, e "andare a tempo": solo così diviene allora artista-centauro, un ibrido uomo-cavallo con "un' istesso corpo, di un senso, et di una voluntà", un'opera d'arte vivente. Questa fusione, che è scambio, rispecchiamento metaforico in cui l'uomo si animalizza e l'animale si antropomorfizza, dà luogo ad altre forme di ibridazione: quelle in cui il cavallo può essere il compagno, il doppio del guerriero nel furor eroico della battaglia, ma anche l'omologo dell'amante, uomo o donna, che smania dominato da incontenibile follia amorosa. Se nel mito, nella trattatistica ippologica, il furor erotico che tormenta cavalli e giumente viene sistematicamente evocato e diviene paradigma, metafora e proiezione di quella manìa erotica che fa ardere e delirare uomini e donne, è soprattutto nella poesia che l'eros assume ineludibili connotati ippomorfici: non solo le fanciulle amate diventano seducenti puledre, ma l'amore stesso, nei suoi aspetti sensuali, tempestosi e contraddittori, diventa un cavallo bizzarro, sfrenato, imprevedibile. E la ragione sta forse nel fatto che, come ha scritto Vladimir Majakowskij, un poeta, appunto, "siamo tutti un poco cavalli, / ognuno di noi è cavallo a suo modo".
Gavina Cherchi, nata in Sardegna, ha vissuto in in Algeria, nello Yemen del Sud, in Eritrea; si è laureata in Filosofia a Pisa, e ha conseguito il PhD presso il Warburg Institute dell'Università di Londra; insegna Estetica filosofica presso l'Università di Sassari ed è docente a Siena presso la Scuola di Dottorato "Logos e rappresentazione. Studi interdisciplinari di Letteratura, estetica, arti e spettacolo". Socio fondatore dell'associazione Centro Warburg Italia, fa parte del Comitato Scientifico della rivista omonima. È pure nel Comitato Scientifico della rivista Fontes. Le sue ricerche, di natura interdisciplinare, integrano Estetica, Storia delle idee, Iconografia e iconologia, e spaziano dal tema del rapporto immagine-parola, a quello della metamorfosi nel mito, nelle arti figurative e nella letteratura.