Il silenzio è un elemento di grande potenza che interviene massicciamente nella costruzione e decostruzione dell’identità.
Nelle situazioni di violenza estrema spesso il torturatore, il carnefice, usa il silenzio per sfiancare la sua vittima, per cancellarne l’identità e i legami che essa porta con sé. Nello stesso tempo la vittima usa il silenzio per cercare di preservare la sua identità più profonda e aggrapparsi ad essa per salvarsi.
Anche il potere, inteso come potere politico, ma anche come esercizio generico di potere, usa il silenzio per esercitarlo sugli altri, per perpetuarsi, per difendersi, per decidere.
Il terrorismo usa il silenzio per distruggere e creare terrore.
Ma il silenzio è anche conoscenza, crescita, comunicazione. Nel silenzio si cresce e si creano i primi legami.
In analisi, con i pazienti è spesso attraverso il silenzio che passano emozioni e comunicazioni che hanno una finalità terapeutica.
E come non pensare al silenzio della religione e del misticismo, alla regola del silenzio nei monasteri di clausura come condizione per il pensiero e la conoscenza.
Il più muto dei vocaboli rivela una grande eloquenza e occupa una vasta gamma di significati e riferimenti.