Certo non agli uomini tutti fanno bei doni/ i numi: bellezza, senno, parola eloquente./ Uno può essere meschino d’aspetto/ ma un dio di bellezza incorona il suo dire; e tutti lo guardano/ affascinati: egli parla sicuro/ con garbo soave; brilla nelle adunanze,/ e quando gira per la città, come un dio lo contemplano./ Un altro, invece, per la bellezza è simile ai numi,/ ma corona di grazia le sue parole non hanno./ Così tu hai splendente bellezza: nulla di meglio /un dio potrebbe creare: ma sei vuoto di mente
OMERO (Od. 8.167-179)
Il corpo vive nel tempo quotidiano, ma ha bisogno delle parole per acquisire un posto nella storia. Il caso greco è emblematico, perché i Greci hanno elaborato i corpi, hanno esaltato la forza dell’esteriorità e hanno narrato il gusto per i dettagli, ma hanno anche intravisto la fragilità di quella bellezza su cui fondavano tutta la loro passione descrittiva. Alla luce della caducità dei corpi, essi hanno ipotizzato una presenza dirompente oltre il fenomenico: l’anima. Al tempo stesso la cultura greca non ha smesso di usare una retorica dei corpi per presentare una società modello; non ha smesso di creare parole per definire il corpo, lasciando in eredità descrizioni memorabili, dotate di stabilità semantica, capaci di imprimere nella mente l’idea fisica di tanti personaggi: dal ciclope alla sfinge, dal centauro all’Achille piè veloce, alla dea dagli occhi cerulei agli Achei vestiti di bronzo.
Dorella Cianci è dottore di ricerca di ricerca in Teoria, Storia e Metodi dell’Educazione presso l’università LUMSA di Roma. Si è laureata a Foggia in Filologia classica con una tesi sulla fisiognomica greca. Fa parte del gruppo e della rivista “Amica Sofia” di Perugia e collabora con Il Sole 24 Ore Domenica per le pagine “Scienza e Filosofia”. È autrice del libro di poesia L’incapacità invalicabile della parola [Aracne 2010].