Correre la vertigine, interrogarci sulla questione se Borges sia o meno un filosofo?
È necessario inoltrarsi in un labirinto o in una babele di contenuti, perché alla lettura si offrono continuamente le affermazioni «contraddittorie» dello scrittore argentino: da un lato, rivendica la sua identità di poeta rifiutando l’etichetta di filosofo, dall’altro, si autoproclama uno scettico, «che come numerosi scettici, non è sicuro di esserlo». Una cifra tipica di Borges è la vertigine, il continuo gioco di passare dall’immagine al concetto.
Nel presente saggio si indagano queste feconde opposizioni di Borges, e, cercando di superare la complessità della tematica, in linguaggio chiaro si interpreta il rapporto filosofia-poesia e quindi il senso di una lettura filosofica di Borges, autore in cui il banale e il consueto non hanno diritto di cittadinanza.
Si disegna il labirintico groviglio nell’opera di Borges di filosofia e letteratura, si manifestano le ibridazioni profonde o gli intrecci reciproci per superare i confini disciplinari e mostrare la trama di un pensare altrimenti.
Poesia intellettuale quella di Borges come egli stesso la definisce? Le inappagate e cicliche interrogazioni filosofiche e teologiche si trasformano in lucida e appassionata poesia? Ai lettori la risposta.
L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone di ‘un numero indefinito e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. [...] Di qui passa la scala a spirale, che s’inabissa e s’innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio che fedelmente duplica le apparenze. [...] Io affermo che la Biblioteca è interminabile.
L. Borges, La biblioteca di Babele.
La Critica della ragion pura di Kant, opera che non capiscono neanche i tedeschi, e che in molti casi deve aver lasciato perplesso lo stesso Kant […] A meno che non si ricordasse cosa aveva voluto dire.
L. Borges