Il restauro cinematografico è un’attività che sembra esercitare un notevole fascino sul pubblico contemporaneo: film “restaurati” vengono proposti nei circuiti di prima visione, pubblicizzati sui quotidiani, commercializzati come prodotti di eccellenza. A fronte di questo successo di popolarità, i principi, la storia e la prassi della disciplina rimangono spesso per il pubblico dei non addetti ai lavori un territorio misterioso, inesplorato e segreto.
Capire cosa significa davvero restaurare un film vuol dire anche (soprattutto) interrogarsi sul senso di una pratica che richiede grossi investimenti di denaro, tempo e risorse. Perché restaurare i film? Può considerarsi una priorità di politica culturale?
La risposta che si sceglie di dare a queste domande è destinata a influenzare il futuro dei film e il loro rapporto con gli spettatori di oggi e di domani, specie in un’epoca in cui la transizione al digitale pone il cinema di fronte a una delle più grandi trasformazioni della sua storia. Proprio nei momenti di rivoluzione l’entusiasmo del nuovo deve sposare la consapevolezza di quanto sia importante mantenere sulle azioni e sulle produzioni dell’uomo una prospettiva storica. Una prospettiva che il restauro del film pone come indispensabile, utopico, orizzonte di riferimento.
Stella Dagna (1976) lavora dal 2005 presso la Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, dove si occupa in particolare di restauro e valorizzazione della collezione di cinema muto italiano. Dottore di ricerca in Storia delle arti figurative e dello spettacolo, nel 2010 ha partecipato al progetto formativo istituito dalla Hagefilm Foundation presso il laboratorio Cineco di Amsterdam. Ha pubblicato la monografia Ma l’amor mio non muore! (M. Caserini, 1913). La diva e l’arte di comporre lo spazio (2014) ed è autrice di vari studi sulle forme di rappresentazione nel cinema italiano degli anni Dieci e sui temi della conservazione e del restauro dei film.