Erano le 7 di mattina e come ogni giorno preparavo la colazione. Talvolta, verso quell’ora, guardavo oltre la finestra della cucina che dava sulla stanza di mio fratello Pablo.
In mezzo un cortile, come un immenso vuoto. Ma, quella mattina, mio fratello gridava con la sigaretta al becco frasi ricorrenti: «¿Por qué los militares les mataban a los hijos a las madres de Plaza de Mayo?» («Perché i militari uccidevano i figli alle madri di Plaza de Mayo?»). Ritornava là, di dove eravamo partiti.
In quei frammenti linguistici, in spagnolo, c’era tutto, parole che pesano come un macigno sulla memoria. Il servizio militare, i colonnelli, i traumi dell’infanzia: la sua vita, la vita del mio paese, l’Argentina, e la mia vita.
Lo guardavo, dovevo andare a lavorare in ospedale. Lui era lui, ma io ero lui ed io. Come un destino andato controsenso. Bevevo lentamente il mio tè e le sue parole seguivano i momenti di questa vita. Volevo fare teatro, ma, per lui e per me, sono diventata psicologa, poi psicoanalista, e lacaniana. Forse per andare oltre le parole. Per uscire da questa eredità che pesa.
È per questo che siamo destinati a entrare dentro alle parole: ad entrare e uscirne, per capirne il perché, ma anche il mistero. Perché no? Il mistero di una vita che si confonde con la malattia che pesa troppo, per poter sorridere laddove i sorrisi, talvolta, sembrano paralizzati.
Maria Claudia Dominguez è nata a Buenos Aires nel 1958, e vive da venticinque anni a Trieste. È Psicologa, Psicoanalista, Docente della scuola di Psicoterapia di Venezia “Icles” (Istituto per la clinica dei legami sociali), membro della scuola internazionale di Psicoanalisi “EFPCL” (École de psychanalyse des Forums du Champ Lacanien) e del Forum Psicoanalitico Lacaniano. Lavora come dirigente psicologo presso l’AAS2, “Bassa Friulana-Isontina” di Gorizia, dove Franco Basaglia, nel 1961, ha avviato i suoi progetti e le sue ricerche innovative. Esercita la professione presso la sede di Monfalcone della suddetta azienda sanitaria, in regime di Intramoenia.