Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, il presupposto su cui era nato e si era sviluppato il movimento eugenetico internazionale sembrò incrinarsi definitivamente: di fronte a tanta inaudita violenza era ancora possibile sperare in un miglioramento della “razza umana”? Anche in Italia gli eugenisti si divisero tra chi considerava il conflitto una minaccia per l’integrità fisica e psichica del corpo sociale e chi lo interpretava invece come un fattore di selezione e di progresso, in grado di favorire la parte migliore della popolazione. Questa contrapposizione contribuì a ridefinire non solo gli equilibri nel campo dell’eugenetica nazionale, ma più in generale i rapporti tra scienza e politica nella delicata fase del dopoguerra.
Giovanni Cerro è tutor della Scuola Internazionale di Alti Studi “Scienze della cultura” della Fondazione Collegio San Carlo di Modena, istituzione presso la quale ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia contemporanea con una tesi sull’antropologo e psicologo positivista Giuseppe Sergi. Ha pubblicato saggi in volumi e riviste italiane e internazionali sui rapporti tra antropologia e politica nella cultura europea tra Ottocento e Novecento, dedicando particolare attenzione alla teoria della degenerazione, alla nascita e all’evoluzione del movimento eugenetico e del pensiero razzista in Italia.