Arguto, iconoclasta, surreale, onirico, caleidoscopico: così è stato descritto Ambrose Bierce, noto soprattutto per il Dizionario del diavolo e i racconti sulla Guerra Civile. Scrittore fra i più intriganti della letteratura americana e popolarissimo giornalista del fin-de-siècle d’oltreoceano, Bierce è l’enigmatico interprete di un’epoca che, se da un lato si sta aprendo alla psicanalisi, dall’altro crede ancora ai fantasmi e non riesce a elaborare il lutto fratricida della tentata Secessione. L’uomo che usciva dal naso, L’uomo e il serpente e Gli occhi della pantera, pubblicati rispettivamente nel 1887, 1890 e 1897, coprono un arco di dieci anni durante i quali a Est si affermano i grandi monopoli industriali ed esplode l’immigrazione, mentre a Ovest si conclude il mondo liquido della Frontiera. I tre racconti si rivelano oggi sorprendentemente attuali per l’intuito con cui trattano temi quali la (de)costruzione dell’identità di genere, l’ossessione, la paura, il post-umano.
Ambrose Gwinnett Bierce nasce nel 1842 (l’anno in cui escono Il naso di Gogol e La maschera della morte rossa di Poe) e scompare misteriosamente oltre il confine messicano tra il 1913 e il 1914. Soldato volontario nell’esercito dell’Unione, la sua opera più famosa è il racconto Accadde al ponte di Owl Creek (1890), da cui furono tratti tre film. A testimoniare la persistenza dell’interesse per questo scrittore si rimanda alla serie tv True Detective (2014) e ai due romanzi The Old Gringo (Carlos Fuentes 1985) e The Assassination of Ambrose Bierce: A Love Story (Don Swaim 2016).