Installazione alla Chiesa della Spina di Pisa, 21 aprile - 20 maggio 2018
La ricerca recente di Andrea Santarlasci si è focalizzata sull’interpretazione del genius loci dell’Arno, il fiume che attraversa la città di Pisa. Un topos reale ma anche simbolico e metaforico, inteso come elemento che suggerisce lo scorrere inesorabile del tempo e la capacità di trasformare la terra e di essere protagonista del paesaggio urbano. La poetica dell’artista si concentra sulla natura della memoria, sulla relazione tra il passato e il presente e sulla forza evocativa dell’arte. Temi già accennati nella mostra Riflessi di un luogo invisibile, presso la galleria Passaggi nel 2015, che costituisce una sorta di prova generale della mostra in Santa Maria della Spina, incentrata intorno all’ipotesi – avanzata da alcuni studiosi – che un ramo dell’antico fiume Auser (oggi Serchio) scorresse lungo il tracciato dell’attuale via di Santa Maria, nei pressi della chiesa. Una presenza-assenza evocata dall’opera Senza titolo (declivio), 2018: un tronco d’albero recuperato dall’artista sulle spiagge alla foce dell’Arno, posizionato all’interno della Spina come una sorta di reliquia della natura, appoggiato su alcune scale, quasi a ricordare una deposizione. Ma anche una perdita, una traccia di un paesaggio scomparso, ridotto ad un monumentale frammento di una vita estinta, resa ancora più potente dalla vicinanza del fiume, che scorre sotto le finestre di Santa Maria della Spina. Un depaysement accentuato dalla seconda opera, Dove ciò che scompare si manifesta, 2018, costituita da una scritta al neon con un frammento del filosofo greco Eraclito: Negli stessi fiumi entriamo e non entriamo, siamo e non siamo, dove alcune lettere depotenziate fanno comparire la parola Auser. Qui il linguaggio rende esplicita una narrazione silenziosa e non detta, ma evocata, anzi quasi declinata secondo Michel Foucault, attraverso una relazione misteriosa ma perfetta tra le parole e le cose. L’intervento di Santarlasci rispetta quindi il suo pensiero, denso di riferimenti filosofici, in grado di coniugare elementi provenienti da arredi domestici con reperti naturali, per creare uno spiazzamento tra materiali diversi, in grado di produrre quel rinnovamento dello sguardo, ma anche dell’esperienza percettiva tangibile, che rientra tra gli scopi principali dell’arte.
Ludovico Pratesi