Leo Strauss parlava di Socrate e Aristofane come del suo “real work” e, a tutti gli effetti, si tratta di una summa del suo pensiero filosofico. Nel commento ad Aristofane, infatti, e sia pure in una forma letterariamente inconsueta per la modernità, sono concentrati i principali temi della riflessione straussiana: i rapporti tra arte politica e costume ancestrale, tra filosofia e poesia, tra scetticismo e religione. In questo modo, nell’opera dedicata ad Aristofane, che conobbe Socrate e ne lasciò un ricordo (da affiancare a quelli di Platone e Senofonte), emergono i limiti di una filosofia che si vorrebbe impolitica ma che, forse perché priva di quella conoscenza dell’anima che solo la poesia fornisce, ha un rapporto contraddittorio e comunque complesso con la città. A coronare il nesso tra filosofia e politica vi è infine la domanda sulla natura del divino: una questione fondamentale su cui Socrate e Aristofane si incontrano e, apparentemente, si dividono.
Leo Strauss (1899-1973) è stato uno dei maggiori filosofi politici del Novecento. Di origine tedesca, a causa del suo ebraismo si è trasferito negli Stati Uniti nel 1938 e ha insegnato per vent’anni all’Università di Chicago, dove ha fondato una scuola che rappresenta oggi la maggiore alternativa al contestualismo di Cambridge. Con volumi e saggi dedicati ai classici antichi e moderni della filosofia politica, ha contribuito in maniera decisiva alla riscoperta della scrittura reticente e al recupero della filosofia politica classica, riaprendo la querelle degli antichi e dei moderni e risalendo così alle due radici contrapposte sulle quali poggia la vitalità della civiltà occidentale: Gerusalemme e Atene.