Concepita come un melodramma la cui musica è insita, come specifica Ungaretti, nel ritmo stesso della poesia, La Terra Promessa segna insieme una tappa fondamentale nell’evoluzione della sperimentazione del suo autore e l’inizio dell’ultima sua “stagione” poetica: quella che proseguirà poi nei versi di Un Grido e Pesaggi, del Taccuino del Vecchio, e che nella raccolta Morte delle stagioni troverà la sua più compiuta manifestazione. Costituita, nella sua redazione definitiva, da componimenti che, nel sottotitolo, sono significativamente definiti Frammenti e che coprono un arco temporale che va dal 1935 al 1953, La Terra Promessa si connette, nel suo substrato teorico come nel suo impianto strutturale, agli esiti in quegli stessi anni raggiunti sia dalla speculazione filosofica di Sartre che, in ambito musicale, dalla sperimentazione dodecafonica di Schönberg, e in ambito artistico, dalla pittura Informale in genere, e da quella di Fautrier in particolare, dimostrandosi a sua volta, nella specificità del suo genere ma anche nella complessa ricchezza del proprio sistema elaborativo, esempio fra i più alti della poesia contemporanea.
Maria Carla Papini, già ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Firenze, ha insegnato in varie Università europee ed extraeuropee. Ha studiato la poesia crepuscolare e i movimenti d’avanguardia, dal Futurismo alla Metafisica, al Surrealismo, all’Ermetismo. Ha dedicato un’attenzione particolare alla produzione poetica e romanzesca italiana del XX secolo, studiata in relazione con la coeva produzione artistica e letteraria europea, in una prospettiva comparatistica che ne rileva, volta a volta, i rapporti con la pittura, la musica e il cinema.