Nella prima metà del ventesimo secolo la psicoanalisi fu accusata da molti di essere una dottrina ebrea, degenerata e pansessualista, ma affascinò un numero crescente di medici, psichiatri, psicologi, filosofi, letterati e artisti.
Nel mondo occidentale la psicoanalisi divenne presto una promettente risorsa terapeutica per molti disturbi mentali in un’epoca in cui, in campo psichiatrico, erano disponibili solo terapie somatiche, morali o suggestive, sostenute da basi che di scientifico avevano molto poco.
Nata nella Vienna fin de siècle, la neonata disciplina freudiana mosse i suoi primi passi nella capitale dell’Impero Austro-Ungarico, poi a Zurigo, Budapest, Berlino, Londra, Boston e New York.
Gli otto saggi raccolti in questo libro trattano della natura complessa, contraddittoria, palpitante e drammatica della vicenda esistenziale di alcuni tra i primi e meno conosciuti protagonisti della storia della psicoanalisi: Otto Gross, Fritz Wittels, Wilhelm Stekel, Loë Kann, David Eder, William Rivers, John Layard e Elizabeth Severn.
Il racconto delle vicissitudini esistenziali, della passione e delle incertezze dei primi esploratori dell’inconscio aggiunge uno sguardo sul rapporto dell’essere umano col malessere psichico mentre percorre un sentiero poco battuto nei territori dell’invenzione freudiana.
Giuseppe Zanda, nato a Cagliari nel 1946, è vissuto a Roma fino al conseguimento della laurea in medicina presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si è specializzato in psichiatria.
Ha lavorato per venti anni nei servizi ospedalieri e territoriali psichiatrici di Varese, Vicenza e Lucca, e ha diretto per quindici anni i servizi per le dipendenze patologiche di Lucca.
Autore di più di centocinquanta lavori scientifici, vive a Lucca, dove lavora in pratica privata come psichiatra e psicoterapeuta analitico.