Il volume prende le mosse dalla riflessione critica secentesca, quella occasionale che si espresse in lettere, lezioni accademiche, commentari, postille, relazioni di censura, per avviare un’indagine sul rapporto con la tradizione, sull’imitazione e sulla modernità delle opere di Tasso e di Marino. Prendendo in esame testi antichi e moderni (da Omero a Góngora, da Plutarco a Lope), il libro segnala nuove fonti e analizza il «modo dell’imitazione», ravvisando lo scarto che rende il testo dell’imitatore sostanzialmente diverso da quello imitato e che, su larga scala, contribuisce a definire la sfuggente modernità di Tasso, di Marino e dei loro contemporanei, la nuova dimensione poetica che creano, il nuovo valore che attribuiscono alla letteratura, i nuovi occhi con cui guardano e conoscono. Nelle pieghe del modo di imitare si scorgono linee di una evoluzione del gusto e suggerimenti per tracciare la mappa di tutta una stagione della letteratura italiana ed europea, nella convinzione che la storia letteraria debba farsi e rinnovarsi procedendo dal dettaglio, spesso minimo, all’insieme.