lla fine della Seconda guerra mondiale l’esodo giuliano e dalmata svuotò le terre dell’estremo nordest – passate all’amministrazione e poi alla
sovranità jugoslava – della loro popolazione italiana, o italianizzata. Nella neonata Repubblica, in cui gran parte di quegli italiani si reinsediò,
alcune città mostravano, più di altre, i segni del passato conflitto: fra esse Livorno, ingombra di macerie e con tanti spazi requisiti, fino al
1947, dai militari alleati. Diversamente da Lucca, Massa o Carrara, nel comune labronico non ci fu posto per campi profughi (ne sorsero, tuttavia, nelle vicinanze). Ma se pochi esuli si fermarono a Livorno, molti vi transitarono in cerca di lavoro o in attesa di una nave. Costruito su fonti archivistiche e spogli di stampa, questo piccolo volume ricostruisce i vari livelli dell’assistenza pubblica e l’auto-organizzazione dei profughi, sotto
la guida dei loro corregionali da tempo residenti in città; offre qualche dato sui posti di lavoro conservati o ritrovati; illustra progetti riusciti e
non riusciti d’insediamento abitativo; tratteggia le reazioni dei livornesi – fra orientamento dei partiti e condotta degli enti locali, passioni rosse
e vibrazioni risorgimentali – all’arrivo di persone perlopiù disoccupate e bisognose, nonché animate da sentimenti politici diversi da quelli prevalenti in zona.
Francesco Dei (1986) ha studiato alla Scuola Normale Superiore di Pisa. È autore di saggi sulla Francia della Rivoluzione e sull’Italia novecentesca
e ha pubblicato con Morcelliana la monografia La Chiesa senza leggi. Religione e potere secondo un vescovo della Rivoluzione francese (Brescia, 2016).